mercoledì 28 gennaio 2015

"DIPINGERE L’ANIMA- Abisso interiore tra mito e simbolo. ed. Thule" di Gianfranco Romagnoli, Palermo Aprile 2013

"Dipingere l'anima-abisso interiore fra mito e simbolo"
 il libro di Elide Triolo
Il dato di partenza da assumere come guida alla lettura e alla comprensione di questo libro è la condizione di artista, e più specificamente di pittrice, che connota indelebilmente la personalità dell’Autrice, Elide Triolo.
   Avvezza ad esprimersi mediante l’immagine pittorica, ad un certo momento del suo percorso umano, marcato dall’alternarsi di momenti alti di esaltazione e di forti crisi interiori (come è proprio di chi ha in se stesso il misterioso fuoco dell’arte e la sensibilità che ne è, al tempo stesso, madre e figlia), ha deciso di dover ricercare le radici della sua ispirazione avendo di mira, con ciò stesso, il fine di ritrovare la sua identità, ossia, come ella stessa si esprime dicendo di sè, con espressione che ricorre nel titolo del libro, di «dipingere la mia anima».
   La comprensione dei criteri che l’hanno spinta e guidata in questa vasta ed impegnativa ricerca va dunque ricondotta alla figura di Elide Triolo pittrice, e più specificamente, alla sua vocazione a riprodurre su tela immagini oniriche ed altamente simboliche, che promanano dalla profondità del suo essere, in una parola dall’anima. Ed è infatti proprio l’anima, nei suoi abissi più profondi e ignoti, la prima protagonista di questa indagine, dura, tenace, approfondita, condotta negli anni mediante molte letture attinenti alle più diverse discipline: una ricerca che si configura come viaggio (significativo in tal senso il riferimento, nell’ultimo capitolo dell’opera di lei, alla Comedia di Dante) nel quale ripercorre, facendone diretta esperienza, le varie fasi del viaggio dell’eroe configurate da Joseph Campbell: quella della separazione o partenza, stimolata dall’appello (definito dall’Autrice chiamata) a scoprire la propria vocazione, l’aiuto soprannaturale, il passaggio della prima soglia e nel regno della notte; quella successiva delle prove e vittorie dell’iniziazione, che comprende l’incontro con la dea o beata riconquista dell’infanzia (il «ricordare e rivivere l’Eden» di cui ella insistentemente ci parla) e l’apoteosi; quella, infine, del ritorno e reinserimento nella società. Fasi che conoscono momenti di rifiuto, di lotta con il mondo e con la stessa divinità, di forte pericolo, ma che sfociano nel grande dono finale: sì, quando l’arte, attraverso la consapevolezza dell’artista, si fa dono totale per gli altri. 
   Per dare una risposta alla sua ricerca l’Autrice compie, innanzitutto, un’ampia ricognizione dell’evoluzione del pensiero sull’anima, dal concetto indiano di atman nato quattro millenni or sono a Omero; dalla filosofia platonica e aristotelica all’orfismo; dal neoplatonismo medievale a Sant’Agostino; dal Rinascimento con Marsilio Ficino e Giordano Bruno (con l’importanza che viene ad assumere la magia) alla Controriforma con il suo eclissamento della libera ricerca sull’anima, ripresa con nuovi accenti dal Romanticismo in opposizione all’Illuminismo; per approdare alla psicologia del profondo e alla psicanalisi con la connessa moderna ripresa dell’interesse  per le antiche correnti ermetiche e simboliche.
   Il mito, il sogno e il simbolo sono visti, in questa logica, come lettura dell’anima. Di particolare interesse appaiono le osservazioni su mito, specialmente laddove l’Autrice, rifacendosi alla distinzione junghiana tra inconscio collettivo e inconscio personale, la estende con originale interpretazione al mito deducendone, a fronte dell’esistenza generalmente ammessa di un mito collettivo o universale radicato negli archetipi, quella di un mito individuale (ancora l’identificazione sua, ma anche di ogni uomo che senta l’esigenza della ricerca, con la figura campbelliana dell’eroe?), intorno al quale il soggetto «costruisce il suo fantasma personale»; il mito che, in entrambi i casi, si configura come racconto di verità. Ed è ancora il concetto di mito individuale a guidarla nel suo esame del sogno e del suo significato profetico e/o salvifico emergente dall’oniromanzia e dall’incubazione, portandola a coglierne l’analogia con lo stato di estasi e ad evidenziare, in armonia con le teorie freudiane, come il sogno sia il mito che non ha valore collettivo. Il simbolo, infine, la cui fondamentale importanza per la Triolo emergerà nell’ulteriore corso della ricerca, viene da lei indicato in via di prima approssimazione come appartenente a un linguaggio analogico che richiama un significato “altro” rispetto a quello visivo più immediato.
   Questa navigazione si svolge, come si può ben vedere, attraverso un mare magnum, nel quale la ricerca della verità per tutte le possibili vie offerte dalla sapienza antica e moderna attraverso le scienze e il pensiero filosofico ed esoterico, comporta un alto pericolo di annegamento. Ma occorre riconoscere che l’Autrice riesce a tenere la rotta, sostenuta da un saldo punto di riferimento: Dio, più volte chiamato in causa nella sua funzione salvifica. Scrive in proposito la Triolo: «La promessa che ho fatto e che non dovrò mai tradire, è quella di tenere sempre per mano Dio, mio Padre, a cui dovrò sempre rapportarmi», richiamando inoltre, più volte, l’inscindibile legame tra l’uomo e la divinità unica e vera.
   Il mito invero, questo caposaldo della ricerca che, in quanto racconto di una verità primordiale, si identifica con il sacro, chiama in causa le religioni, che con le loro rivelazioni «hanno fornito all’umanità la luce necessaria per penetrare il mistero», rivelando le realtà più profonde del mondo e dell’uomo attraverso i simboli: esse, riattualizzando attraverso le azioni sacrali del rito e dell’iniziazione il mistero ciclico e cosmogonico della morte e della rinascita, svolgono un processo di scomposizione-ricomposizione dell’anima, di cui l’Autrice coglie il parallelismo con il processo alchemico; un processo che fa sì che l’uomo ricordi la verità primordiale e la tramandi, crei, cioè, e trasmetta la tradizione.
   
   E’ a questo punto che, terminata - ma non certo esaurita - l’indagine di carattere generale sull’anima, la seconda parte dell’opera, pur senza perdere questo fondamentale riferimento, si rivolge più specificamente all’arte, campo nel quale l’Autrice ha modo di spaziare dando prova di indubbia competenza; con un taglio, peraltro, che legandosi alle premesse dianzi illustrate evidenzia le sue preferenze per gli artisti la cui opera è radicata in quella che, molto approssimativamente, potremmo definire “psicologia del profondo”. 
   Anche in questa seconda parte dell’opera, il criterio seguito è quello storico-cronologico: partendo dalle espressioni artistiche dell’uomo primitivo e rilevati in esse i contenuti magico-sacrali che si proiettano in avanti attraversando le civiltà antiche; evidenziate le radici ariane e celtiche tramandatesi fin nel Medioevo, al quale è didicato un capitolo significativamente intitolato Arte, magia, superstizione, religione, ma comunque anima, la Triolo giunge a parlare di artisti rinascimentali per lei particolarmente significativi in quanto rappresentativi di quel mondo onirico e del profondo che, attraverso l’ispirazione provenientele da essi, condivide ed esprime nella propria opera pittorica: così Bosch, Grunewald, Bruegel. Ed ancora, come espressione della ricerca del subconscio e della magia dell’ignoto, Goya, Fussli, Moreau, Piranesi e, in particolare, William Blake. Cita, in proposito, un passo di Friedrich: «Il pittore non deve ritrarre solo ciò che vede innanzi a lui ma ciò che vede in lui», citazione che, provenendo da un paesaggista visionario, mi richiama alla mente quest’altra di Giacomo Leopardi: «all’uomo sensibile e immaginoso [cioè all’artista] … il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà il suono di una campana; e nel tempo stesso con l’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono». L’artista cioè, renderà le cose trasfigurate, ma più vicine alla loro essenza reale, nella sua opera poetica come in quella pittorica, che diviene mitopoiesi in quanto le ricrea come mito. (Altrove l’Autrice afferma: «In realtà la visualizzazione di questi moti [dell’anima] non è così visionaria»).
   E ancora, l’indagine della Triolo si estende all’espressionismo, al decadentismo fino al preraffaellismo con la sua connotazione di confraternita esoterica e al simbolismo, laddove «la malinconia romantica si trasforma in angoscia e smarrimento del proprio destino; di conseguenza la ricerca di una verità assoluta … e lo scoprire l’essenza nascosta delle cose», e all’ingresso del misticismo nell’arte; per giungere alla ricerca edenica di Gaugin, alla magia di Van Gogh e al neoromanticismo, talora fiabesco, di maestri come Chagall, Dalì, Magritte, Ernst. L’arte viene a compenetrarsi con la psicanalisi e si evolve, «si rigenera ogni qual volta una terribile crisi sconvolge il quotidiano».
  
   Nella terza e ultima parte dell’opera torna di scena, quale indiscussa protagonista, l’anima. L’uomo può estraniarsi da sé e dal mondo, perdere l’anima, ma questo pericolo si supera soltanto con la ricerca della libertà attraverso «la consapevolezza del proprio essere, l’accettazione di una cosa che è così com’è … non possiamo sentire Dio come un burattinaio perché senza esso moriremmo, ma non perché siamo succubi, ma perché siamo le parti che si completano, uno non può fare a meno dell’altro» (ritorna il farsi condurre per mano da Dio). E ancora: «Parlare dei confini dell’anima ci conduce verso due vie: la via di apertura verso tutti quei mondi soprasensibili che consentono di aprirci verso altre energia: energie psichiche, spiritismo, medianità ecc; o la via della profondità dell’anima, quel mondo infinito dentro noi stessi … dobbiamo riconoscere Dio dentro di noi».
   L’Autrice instaura poi un parallelo, già in precedenza accennato a proposito delle religioni, tra il processo dinamico di trasformazione indotto da ogni iniziazione e la trasmutazione interiore, arte regale dell’alchimia, in particolare di quella parte di essa, l’alchimia mistica, tesa alla ricerca della purezza simboleggiata dalla pietra filosofale: «E così la parola artista si ripropone come significato nel trasformare e creare, come un’opera d’arte». Torna l’immagine dell’eroe nelle seguenti parole: «l’artista è un po’ come il guerriero: egli lotta contro le tenebre per far riaffiorare la luce. Sulla tela bianca e la pietra informi crea un universo di significati che si eleva a macrosimbolo. In un certo senso si assiste a una riproduzione ritualizzata della cosmogonia».
  Dopo una presentazione della Divina Commedia come viaggio iniziatico Elide Triolo conclude la sua fatica con queste belle parole, che racchiudono e sintetizzano il senso della sua ricerca:

I miti, i racconti, le leggende hanno sempre il loro fondamento
nella verità. Ma la verità viene  ascoltata  solo  da  coloro  che,           
           senza secondi fini, la cercano  veramente  per  trovare  dentro 
           sè il “tesoro nascosto”, la  pietra  filosofale  della  saggezza,  il
premio per coloro che con coraggio non si  negano  al  viaggio
della vita.


   In conclusione: un libro che merita di essere letto per la varietà e ricchezza di orizzonti che propone con un enciclopedismo che è la cifra del vero intellettuale; un libro arricchito e completato, in piena coerenza con il testo, da una vasta e ricercata iconografia comprendente, tra molte altre immagini di ogni tempo, significanti opere pittoriche della stessa autrice, e inframezzato da poesie pure di Elide Triolo, che sono squarci, illuminazioni improvvise, attraverso cui ella scruta e ci permette di scrutare il “tesoro nascosto” della sua bella anima.  

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