venerdì 16 gennaio 2015

“Il Primo Gradino” la pittura di Elide Triolo di Tommaso Romano, Palermo 26 luglio 2010

Già dal titolo evocativo e simbolico, Il primo gradino, scelto per questo primo esordio artistico personale di Elide Triolo, si può appieno comprendere la capacità dell’Artista di misurarsi con dimensioni dell’essere e del divenire sicuramente impegnative e fortemente connotate spiritualmente.
Grande padronanza delle tecniche, dinamica cromatica di forte e significante impatto, racconto metafisico che sa partire dal primordiale e confrontarsi con le asperità e il sottosuolo magmatico della realtà e del sogno, senza eluderli e senza farne oleografico riferimento citazionistico.
Il Elide Triolo, vibra l’anima veritativa, si percepisce il suono e la danza non solo delle tematiche affrontate con impeto specie negli acquarelli delle danze notturne, ed anche sulle visioni, mutazioni, che presiedono al pensiero che si svolge, sul ritorno alla pittura che è visione del mondo e della vita non solo in chiave intimistica, ma piuttosto seguendo la linea entronautica di ciò che è in nuce, nel simbolo sempiterno dell’uovo primordiale in cui vi è vita e pensiero, genio e molteciplità della singolarità, giunta la lezione di Pirandello e di Jung e di quelle interiorizzate di Agostino di Ippona, magnificamente raffigurato in acquarello del  2003.
A questa sacralità la Triolo non sfugge, non solo quale richiamo profondo quanto come ricerche archetipale, sogno di una armonia da riconquistare e perseguire con e insieme alla totalità dell’arte che non ammette dilettanti della domenica, ma esseri votati – come Elide- alla  sua incessante ricerca di bellezza, che anche nell’oscuro e nel nichilismo possono rintracciarsi come indizi evocativi di pienezza.
Particolarmente suggestivi anche negli esiti cromatici e nelle ombre che evocano luce, le tele della nostra Artista.
Anche in queste prove d’autore, l’elemento umano avvolto e/o stravolto dal sogno, dal sonno o dall’incubo si esplica in consonanza ad un percorso di chiarificazione ideologica del pensiero e dell’atto artistico della Triolo.
Il corpo, innanzitutto, ricondotto a ciò che è e a ciò che contiene di sacro senza il velo incapacitante della sottovalutazione del profano.
Anime nell’angoscia delle tenebre, sulla spira del dolore e dell’abbandono, anime e corpi agli inferi con rara evidenza e capacità di sintesi sul tessuto narrante dell’opera, Eros e Thanatos, Caronte e il Getsemani, la nudità dell’anima al fuoco della controversia, per citare Mario Luzi, unitamente al il fluire del tempo e delle cose.
Temi, indicazioni di valori, riferimenti spesso romantici e punti di snodo che sono assai interessanti ed aperti alla possibilità di interloquire, di interrogarsi dallo stesso fruitore dell’opera, col mondo della nostra Elide. Che, sia detto con chiarezza, ha fatto tesoro della lezione otto-novecentesca, ma ha saputo filtrare personalmente con uno stile autenticamente riconoscibile e pregno di attitudine alla buona pittura che si svela con convincente esito di qualità e creatività.
Angeli e demoni, sogni e morte, aliti di vita e spirali di Vento che si mischiano e convergono a disegnare senza dimenticare il tempo dell’uomo e la sua salita di vita, quella della natura sull’imprescrutabile mistero del cosmo.
Nel senso più alto ed esoterico della conoscenza, la pittura di Elide è un esperienza anche per chi la osserva e sa penetrarla non solo visivamente ma come esperienza di pensiero interrogante.
Senza indulgenze e ammiccamenti formali, la nostra Artista ci consegna così un capitolo della sua ascesa dantesca, che include il labirinto di Borges, l’alta sinfonia in molti movimenti delle stagioni dell’anima, che non si ripetono mai eguali, come gnosi viva e vitale.
Nello smarrimento minimalista e debole del pensiero e della creatività artistica, le opere di Elide Triolo sono un segno di consapevolezza, un esempio di dedizione, un soffio di bellezza formale e sostanziale, un invito a riflettere con lei sui grandi interrogativi, sulle perennità oltre le contingenze, a ritrovarsi senza la massificante invadenza dell’effimero.

A sapere cioè essere, piuttosto che apparire, con stile, sotto il segno di simboli e miti senza tempo.



Tommaso Romano

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